Chi lavora nel mondo dei social media, conosce bene il sentimento di frustrazione che si prova quando si è lavorato tanto per creare un contenuto e questo non riceve la visibilità sperata. Siamo tutti sotto la dittatura dell’algoritmo e su Instagram, il social che frequento con più assiduità, il problema è molto sentito: capita spesso che perfino creator con un larghissimo seguito, chiedano ai follower di aiutarli ad aumentare la loro visibilità perché “l’algoritmo li penalizza”.
Fino al 2016, Instagram faceva comparire contenuti nei nostri feed seguendo un criterio cronologico. Ma poi, si è scelto un altro criterio: organizzarli secondo le preferenze dell’utente. Le modalità di questa organizzazione e di come vengono stabilite le preferenze dell’utente sono molto complesse, e per questo fumose per i più. E anche il rispetto delle linee guida, in nome del quale succede che vengano bloccati dei profili, risponde a logiche pre-impostate che evidenziano come l’intelligenza delle macchine può facilmente fare cilecca.
Chi ha fatto di Instagram (o di altri social) il proprio luogo di lavoro si è di fatto consegnato a un’entità astratta che fa venire in mente il castello di Kafka: un’enorme struttura anonima e imponderabile, che segue logiche imperscrutabili e sfuggenti e decide arbitrariamente del destino di chi si rivolge a lei. In più, quest’entità è in mano a privati, che dall’oggi al domani possono decidere di chiudere baracca e burattini – e buonanotte ai suonatori.
Per questo, la cosa migliore è curare i propri account, ma investire di più in un proprio sito e in una propria newsletter, che non dipendono dalle logiche arbitrarie di un’azienda privata che sta dall’altra parte del mondo.